Incubatori d’impresa: quali modelli e quale narrazione per il contesto italiano

Come vi abbiamo anticipato qui, lo scorso 6 giugno abbiamo lanciato la call per la seconda edizione del percorso Coop Up Bologna.

L’iniziativa, organizzata da Confcooperative Bologna, in collaborazione con Kilowatt, è stata anche un’occasione per riflettere sul concetto di incubazione e accelerazione di impresa e su come promuovere un nuovo modello più legato al contesto sociale italiano e alle sue proposte di valore.


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Ad aprire i lavori, Nicoletta Tranquillo [Kilowatt], che ha subito individuato 3 temi attorno a cui costruire un modello alternativo di incubazione:

  1. la tradizione italiana di qualità: il cibo, la moda oppure l’impresa manifatturiera: per rimanere in Emilia Romagna la meccanica di precisione è il fiore all’occhiello della Regione e da sola è pari a un terzo della produzione regionale;
  2. il tema del welfare: l’impresa sociale è un’attività imprenditoriale con vocazione pubblica, che si propone di rispondere a bisogni specifici.
  3. il tema della tradizione cooperativa: in Emilia Romagna la tradizione cooperativa è molto forte e rappresenta un mercato di riferimento importante (in Regione circa il 15% delle persone trova lavoro in una cooperativa). L’economia della collaborazione è diventata ormai un modello di business che ha l’obiettivo di ridistribuire il valore nella comunità (ne avevamo parlato anche qui): è necessario quindi un dibattito su i modelli che il mondo cooperativo deve assumere.

Sono seguiti 3 interventi relativi ai diversi modelli di incubazione nel mondo e in Italia:

  • Irene Mingozzi [ASTER] sta studiando il contesto americano e i modelli di incubazione [se volete saperne di più dell’esperienza di Aster in USA, leggete il racconto sul blog]. Ha portato l’esempio di Plug and Play, il primo incubatore della Silicon Valley, che offre, come si vede nella figura, cinque tipologie di servizi – networking, investimenti, innovazione corporate, supporto e mentorship – e può contare su circa 200 potenziali investitori tra aziende e soggetti pubblici da tutto il mondo. Il modello è quello per cui le aziende in cerca di innovazione delegano a strutture come questa il compito di trovare le migliori sul mercato per poi acquistarle e inglobarle.

Silicon Valley Plug and Play

  • Lucie Sanchez [ASTER] si è invece concentrata sui modelli di incubazione europei in due settori specifici: 1) il settore culturale e creativo, citando gli esempi diCultural Enterprise Office (Glasgow) che supporta le imprese creative in Scozia; Spinderihallerne (Comune di Vejle, in Danimarca) che coinvolge 70 imprese settore culturale nella co-progettazione di prototipi di business con imprese tradizionali; è inoltre un luogo di aggregazione per la comunità locale e propone iniziative sportive e culturali; La Friche Belle de Mai (Marsiglia), una fabbrica della creatività realizzata all’interno di una ex-fabbrica di tabacchi in un quartiere svantaggiato e gestita da un collettivo di artisti: le parole chiave sono rigenerazione e inclusione della comunità. 2) Il settore cambiamenti climatici: l’esempio citato è quello di Climate Kic, un partenariato pubblico- privato per finanziare attività innovative nel settore del climate change.
  • Matteo Boccia [Make a Cube], si è invece concentrato sui modelli di incubazione italiani, in particolare su Make a Cube, il primo incubatore italiano specializzato in imprese a alto valore sociale. Se la Silicon Valley è l’ecosistema perfetto per fare impresa digitale, Make a Cube nasce con l’obiettivo di supportare idee imprenditoriali che vogliono rispondere a bisogni sociali. Le  imprese sociali nascono per rispondere a bisogni specifici di un territorio e  – a differenza delle start up digitali facilmente scalabili – difficilmente sono replicabili, se non adattandosi di volta in volta ogni volta al nuovo contesto. Perciò imprese sociali innovative raramente diventano imprese globali: sono strettamente legate a un territorio e ai suoi bisogni specifici. Il territorio e la comunità locale sono pertanto gli elementi fondamentali su cui Make a Cube lavora, oltre all’empowerment personale e professionale del team di una start up: formare le persone ha indubbiamente un impatto positivo sul territorio e sulla comunità intera.

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Chiude la riflessione, in continuità con il modello di Make a Cube e con l’esperienza già sperimentata da Coop Up Bologna nel 2015, Gaspare Caliri [Kilowatt] con una analisi semiotica che fa il punto sulle narrazioni dell’incubazione collaborativa e dell’open innovation, realizzata con SocialLAB. L’incubazione è sempre stata sviluppata a partire da una narrazione di dipendenza, secondo una logica genitoriale/familiare: il figlio (la start up) dipende dal genitore/familiare che lo aiuti a crescere (l’incubatore).

E’ necessario spostarsi da questa logica familiare verso una logica collaborativa: dal concetto di famiglia- dipendenza a quello di tribù, dove non c’è un genitore, ma un capotribù – o uno sciamano – che coordina tutti (la community, la filiera, ecc.) e ha bisogno che ogni soggetto sia autonomo e collaborativo, affinché tutta la comunità funzioni. Il capotribù deve conquistarsi la fiducia della comunità, cosa che il genitore non è tenuto a fare. E’ necessario quindi provare a esplorare una nuova narrazione dell’incubazione, partendo da un nuovo modello basato sulla relazione, sulla fiducia e sulla comunità.

L’edizione 2015 di Coop Up Bo è andata in questa direzione collaborativa e comunitaria; gli elementi che l’hanno caratterizzata sono stati proprio la proposta di valore, cioè la costruzione di una community di pratiche e conoscenze – che in occasione dei MrWolf si attivava in modalità problem solving collettivo – il network, la collaborazione.

L’obiettivo di questa seconda edizione è quello di ampliare questo network e la community stessa, creare dal basso spazi collaborativi in rete (lo stesso progetto CoopUp è diffuso in varie città italiane) e generare nuove opportunità di scambio, relazione e confronto, in ottica di crescita comune, sia per le start up che parteciperanno al percorso, sia per coloro che lo guideranno.

Nei prossimi giorni troverete su questo sito la call per partecipare all’edizione 2016: non fatevi sfuggire l’occasione.

Per informazioni scrivete a coopupbo@confcooperative.it

Di seguito, trovate le slide dei relatori.

 

 

 

 

 

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